Ricorso  della  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri  (c.f.
97163520584),  in  persona  del  Presidente  pro  tempore,  ex   lege
rappresentata e difesa dall'Avvocatura  generale  dello  Stato  (c.f.
80224030587) presso i cui uffici domicilia ex lege in Roma,  Via  dei
Portoghesi       n.       12,       fax       06-96514000,        pec
ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it  nei   confronti   della   Regione
Basilicata, in persona del  presidente  della  giunta  regionale  pro
tempore, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale  della
legge regionale n. 3 del 28 febbraio  2018,  recante  «Interventi  in
materia di continuita' assistenziale», pubblicata nel BUR  Basilicata
n. 11 del 1° marzo 2018. 
    La  legge  della  Regione  Basilicata  n.  3  del  2018,  recante
«Interventi  in  materia  di  continuita'  assistenziale»,   presenta
profili d'illegittimita' costituzionale con riferimento  all'art.  1,
comma  2,  per  invasione  della  competenza  riservata  allo   Stato
dall'art. 117, secondo  comma,  lettera  1),  della  Costituzione  in
materia di «ordinamento civile», nonche' per violazione del principio
di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione. 
    In   particolare   l'art.   1,   riguardante   la    «continuita'
assistenziale», prevede, al comma 1,  che  per  assicurare  la  piena
erogazione dei Livelli essenziali  di  assistenza,  in  un'ottica  di
integrazione dell'offerta di  prestazioni  sanitarie,  il  medico  di
continuita'   assistenziale   possa    svolgere    anche    attivita'
ambulatoriali differibili in coerenza con l'art. 67, commi  3  e  17,
del vigente Accordo collettivo nazionale.  Il  medesimo  art.  1,  al
comma 2, specifica inoltre che relativamente all'orario  di  servizio
attivo  per  lo  svolgimento  di  tali  attivita'  ambulatoriali  «e'
riconosciuto al  medico  di  continuita'  assistenziale  un  compenso
orario  forfettario  da  definire  in  sede  di  accordo  integrativo
regionale». 
    Con riferimento al comma 1 si rappresenta, per  completezza,  che
la Regione Basilicata, con nota in data 24 aprile  2018  (di  cui  si
allega copia), ha assunto il formale impegno a  modificare  il  testo
nei termini indicati e in conformita' alle indicazioni del  Ministero
della salute. 
    Con riferimento, invece al descritto  comma  2  dell'art.  1,  si
rileva che esso contrasta  con  i  principi  che  ispirano  l'Accordo
collettivo nazionale di settore vigente (ACN  del  2009),  contenuti,
tra l'altro, proprio nelle norme di tale Accordo (art. 67, commi 3  e
17) richiamate dalla  norma  regionale  in  esame,  che  regolano  le
attribuzioni e i compensi degli incarichi ai  medici  di  continuita'
assistenziale,  preposti  ad  assicurare  prestazioni   assistenziali
territoriali non differibili. 
    Nello specifico, l'art.  67,  comma  1,  del  menzionato  Accordo
collettivo nazionale di settore  del  29  luglio  2009,  di  modifica
dell'Accordo collettivo nazionale di settore del 2005, stabilisce che
il  medico  di  continuita'  assistenziale  assicura   ai   cittadini
residenti nell'ambito territoriale afferente alla  sede  di  servizio
esclusivamente «le prestazioni sanitarie non differibili».  Il  comma
17 del medesimo articolo aggiunge poi che «Il medico  di  continuita'
assistenziale  partecipa  alle  attivita'  previste   dagli   Accordi
regionali e aziendali» e che «Per queste attivita'  vengono  previste
quote variabili  aggiuntive  di  compenso,  analogamente  agli  altri
medici di medicina generale che ad esse partecipano.  Tali  attivita'
sono primariamente orientate, in coerenza con l'impianto generale del
presente Accordo, a promuovere la piena integrazione  tra  i  diversi
professionisti   della   Medicina   generale,   anche   mediante   la
regolamentazione di eventuali attivita' ambulatoriali». 
    Da tali disposizioni statali emerge che ai medici di  continuita'
assistenziale, deputati ad apportare le cure urgenti e ad intervenire
in situazioni di emergenza, sono attribuite,  in  via  ordinaria,  le
prestazioni  sanitarie  «non  differibili».  Tuttavia,  in  base   al
menzionato comma 17, al fine di assicurare la  piena  erogazione  dei
Livelli essenziali di  assistenza  e  in  un'ottica  di  integrazione
dell'offerta  di  prestazioni  sanitarie,  i  medici  di  continuita'
assistenziale possono svolgere anche alcune  attivita'  ambulatoriali
differibili, purche' tali attivita' siano in coerenza  con  l'Accordo
collettivo  nazionale,   e   stabilite   dagli   Accordi   collettivi
integrativi regionali. 
    Peraltro, tali specifiche  attivita'  richiamate  nel  menzionato
comma 17, e stabilite, come detto, dagli Accordi collettivi regionali
e aziendali, possono essere remunerate, sempre in base al  comma  17,
solo mediante «quote variabili aggiuntive di compenso» e non mediante
quote forfettarie, come prevede il comma 2 dell'art.  1  della  legge
regionale in esame. 
    Alla luce di quanto rappresentato,  la  previsione  regionale  in
esame, disciplinando la retribuzione dei medici in questione in  modo
difforme  da  quanto  previsto  dalla  menzionata  norma  (comma   17
dell'art. 67) dell'Accordo collettivo nazionale vigente, eccede dalle
competenze regionali, e contrasta con l'art. 8, comma 1, prima parte,
del decreto legislativo n. 502 del 1992, secondo il quale il rapporto
tra il servizio sanitario regionale  e  i  medici  e  i  pediatri  e'
disciplinato da apposite convenzioni di  durata  triennale,  conformi
agli accordi collettivi nazionali. 
    Ed invero, quando -  come  nel  caso  all'esame  -  un  contratto
collettivo nazionale determina, negli ambiti di  disciplina  ad  esso
riservati da una legge dello Stato, le materie e  i  limiti  entro  i
quali deve svolgersi la contrattazione collettiva integrativa, non e'
consentito ad una legge regionale derogare  a  quanto  in  tal  senso
disposto dal contratto collettivo nazionale. 
    La norma in esame pertanto invade la  competenza  riservata  allo
Stato dall'art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione in
materia di «ordinamento  civile»,  alla  quale  e'  riconducibile  la
contrattazione   collettiva,   e   viola   altresi'   il    principio
costituzionale di eguaglianza di cui  all'art.  3,  Cost.,  incidendo
sull'esigenza di garantire  l'uniformita'  nel  territorio  nazionale
delle regole fondamentali di diritto che disciplinano i  rapporti  in
questione. 
    Per i motivi esposti la  norma  regionale  sopra  indicata  viene
impugnata dinanzi alla Corte costituzionale ai  sensi  dell'art.  127
Cost., come da delibera del Consiglio dei ministri in data 26  aprile
2018.